Ecco il mistero, sotto un cielo di ferro e di gesso

L’uomo riesce ad amare lo stesso

E ama davvero senza nessuna certezza

Che commozione che tenerezza

Lucio Dalla

 

 

In viaggio con Speranza

 

 

La Speranza abita una terra, divisa esattamente a metà, gioia e paura. Sperare indica entusiasmo, significa amalgamare contentezza e preoccupazione, collegarli a un evento che ci piacerebbe vedere concretizzato. Con la speranza c’è fiducia, anche se dai contorni imprecisi, perché siamo nell’attesa.

La Speranza deriva dalla radice sanscrita “spa” : “tendere verso una meta”. Protenderci verso qualcosa che non possiamo ancora vedere, ma che ci aiuta ad andare avanti.

La speranza, per me è positiva. Quando spero in qualche cosa sono motivata. Il mio sentire cambia, e così anche le mie espressioni più evidenti, ad iniziare dal viso, dallo sguardo. Mi dico “Clà ci riuscirai!”

La speranza è la mia amica di viaggio. Compagna di riflessioni: insieme ad essa medito, rifletto su quale destinazione mi piacerebbe raggiungere, come evolvermi o/e con chi viaggiare.

La speranza mi sostiene nel tramutare i miei desideri in realtà.

Ma quale valore attribuisco alla speranza?

Mi aiuta a raggiungere i miei obiettivi, mi stimola nel proseguire il percorso, per non perdermi nell’arresa.

La Speranza però ha bisogno di essere rinnovata costantemente, perché il “deposito” potrebbe terminare nel momento in cui mi trovo a fare i conti con l’esperienza o/e mi ricorda situazioni già vissute. Ma ecco, di nuovo arrivare la speranza in mio soccorso.

Rinnovandola per ogni nuova meta, radicandomi continuamente con la realtà, pur nella speranza.

Tempo fa, lessi questo racconto, lo trascrissi e oggi lo condivido con voi.

La storia della Felce e del Bambù

Un giorno un signore decise di arrendersi, rinunciando alla vita (relazioni, lavoro…) così raggiunse nel bosco un vecchio saggio. Gli chiese se potesse dargli una ragione per non sentirsi sconfitto.

Il saggio gli rispose di iniziare a guardarsi attorno e di volgere lo sguardo verso la felce e il bambù. E disse:

“Quando sparsi i semi della felce e del bambù, me ne presi cura molto accuratamente. La felce crebbe in fretta, il suo verde luminoso rivestiva la terra. Ma dai semi del bambù non uscì nulla; ciononostante, non rinunciai. Il secondo anno, la felce crebbe luminosa e abbondante e, ancora una volta, nulla uscì dai semi del bambù. Ma non rinunciai. Il terzo anno nulla crebbe dai semi del bambù, ma non rinunciai. Il quarto anno nulla crebbe dai semi del bambù, ma non rinunciai. Il quinto anno, un piccolo germoglio di bambù fece capolino dalla terra. In confronto alla felce era palesemente minuscolo e insignificante. Il sesto anno, il bambù crebbe di più di 20 metri di altezza. Erano già passati cinque anni da quando le radici avevano iniziato a sostenerlo. Quelle radici lo resero forte e gli diedero ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere”.

E si rivolse all’uomo, domandandogli: “Sapevi che in tutto questo tempo che hai passato lottando, in realtà stavi piantando le tue radici?”

Perché mi ha colpito questa storia? Solo nel piantare radici, nel prendersi cura giornalmente delle nostre azioni, delle volte possono portarci all’esasperazione, alla stanchezza, demotivandoci.

Ma è questo lo scopo del viaggio insieme alla compagna Speranza.

È fondamentale annaffiare e dedicarsi al “nostro bambù”, ricordando quanto il creare dà forma al nostro essere, a ciò che realizziamo per noi e per gli altri.

Le azioni compiute si uniscono per dare vita alla vita.

 

#BePositive: Nutro Speranza
ClaudiaSun

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